Uccide lo psichiatra: non mi ha guarito Roma , vestito da donna ammazza anche la moglie e si suicida. Al medico pagò 275 milioni
la testimonianza dell' amico. " mi aveva chiesto piu' volte di trovargli un killer "
Uccide lo psichiatra: non mi ha guarito Travestito da donna ammazza anche la moglie e si suicida. Al medico pagò 275 milioni ROMA - «Muori, malefico succhiasangue che non sei altro...». Tre vittime ieri mattina per le strade della popolosa Serpentara, una delle periferie più giovani della capitale, al Nuovo Salario. Un raptus omicida ha armato la mano di un anziano costruttore edile che di primo mattino si è camuffato da vecchia barbona dispensatrice di santini di Padre Pio per uccidere il suo «guaritore» e la moglie di quello che riteneva il suo psichiatra, ma in realtà era un professionista che aveva ottenuto negli Usa il diploma di psicopatologo, titolo non riconosciuto in Italia. Non vedente, 91 anni, il «professore» Emilio Dido era titolare di un metodo di cura basato sull' «acqua magnetizzata», anche se sembra che il rapporto con quello che poi è divenuto il suo carnefice si basasse anche su normali colloqui terapeutici. Due colpi alla testa delle sue vittime e poi un ultimo colpo contro se stesso hanno messo fine a un delirio che per l' imprenditore si trascinava da tempo, anche a colpi di carte bollate. In ballo la restituzione di una girandola di assegni, per 275 milioni (140 mai incassati), che l' uomo aveva dato allo psicopatologo nella speranza rivelatasi vana di uscire da una profonda e pericolosa depressione maniacale. Era vestito per uccidere, Cesare Fratazzi. Ricco possidente originario di Guarcino (Frosinone) con immobili sparsi tra Roma, Parigi e Padova dove abitava con la seconda moglie e un figlio sedicenne, si è presentato alla Serpentara di primo mattino nei panni di una vecchia donna tutta intabarrata in un giaccotto verde scuro e in un lungo gonnellone nero. In testa Fratazzi indossava una lunga parrucca nera e tra le mani, oltre che tutt' intorno alla vita, esibiva una selva di santini di Padre Pio. «L' avevamo già visto il giorno prima, pensavamo al solito innocuo barbone, nessuno poteva sapere che in quella borsetta da cui tirava fuori rosari e immaginette religiose potesse nascondere una pistola», hanno ricordato più tardi i negozianti della zona che ieri mattina si sono imbattuti nella strana apparizione. Poco dopo le 10, quando l' incrocio tra via Pacchiarotti e via Maldacea era ormai sgombro dalle scorte che ogni mattina accompagnano al lavoro il Gip Otello Lupacchini, è scattato l' agguato. La «vecchia» ha visto arrivare a braccetto il «professor» Dido e sua moglie Maria Luisa Viberti, un' ex infermiera di 73 anni. Venivano a piedi dalla vicina Serpentara, il lungo edificio circolare in cui abitavano da 15 anni. Come ogni giorno andavano all' «Istituto San Raffaele», uno studio medico gestito dallo psicopatologo proprio di fronte alla casa di riposo per anziani «Villa Cavalieri», fino a sei anni fa tra i business del «professore» e poi venduta. La finta barbona ha aspettato che la coppia si avvicinasse al cancello. Poi ha estratto dalla borsetta una lunga pistola semiautomatica cromata munita di silenziatore, una calibro nove. L' ha puntata alla testa del «professore» e ha fatto fuoco. Il «professore» si è afflosciato per terra. La signora Manzo, dalla finestra del primo piano del palazzo di fronte, ha visto l' assassino che continuava ad armeggiare spasmodicamente con la pistola. Alla moglie del non vedente ha urlato a squarciagola: «Scappi, signora, sta per sparare di nuovo...». La moglie dell' ucciso è corsa nel negozio di mobili «Pronto risparmio», si è lasciata cadere esausta su un divano e lì, mentre Stefano e Vincenzo Mancini, i due giovani proprietari, fuggivano per strada, è stata intercettata dal killer. «Eravamo scappati sul marciapiede opposto - racconta Stefano Mancini -. La vecchia è entrata nel nostro negozio, la donna è scattata su dal divano e ha cercato di nascondersi dietro una colonna. Poi abbiamo sentito un colpo. E subito dopo un altro». Per terra, insieme alla moglie del «professore», è rimasto un uomo dalla barba di qualche giorno, con in tasca una lunga e delirante lettera indirizzata a un quotidiano romano dal nome storpiato dove, scritto un po' a mano e un po' a macchina, c' era spiegato il perché di tanto odio: «Mi hai curato, mi sono ammalato ancor di più, ti ho pagato tanto, mi hai succhiato tutto il sangue, sei un malefico e nessuno fa nulla...». Dietro queste parole, 5 anni di cure presso il «professore», titolare di un singolare metodo di cura elaborato durante un soggiorno negli Usa: l' «acqua magnetizzata» con la quale Emilio Dido, cieco dall' età di due anni, sosteneva di poter curare qualsiasi disturbo, in particolare psichico. «Mio marito era depresso e dopo la cura era ulteriormente peggiorato», ha ricordato però ieri Livia Paulotto, moglie dell' imprenditore-killer rintracciata a Padova. «Il professore "sentiva" attraverso le sue mani - ha spiegato una vicina di casa della vittima, la signora Spizzichino - C' era chi ci credeva e chi no. In ogni modo era una brava persona, religiosa e ogni mattina andava nella vicina chiesa dell' Ateneo Salesiano». Era anche un pianista provetto e in passato aveva fatto anche un po' di attività concertistica. All' inizio dello scorso decennio Dido aveva anche partecipato a convegni medici sull' Aids ed era stato presentato da Don Pierino Gelmini come «uno degli scienziati a cui affidarsi» dopo l' autoinoculazione del siero anti-Aids effettuata dal fondatore della Comunità Incontro. Ieri però tra le mani degli investigatori è rimasto un complesso carteggio di querele e controquerele che il «guaritore» e il suo assistito sempre più pentito si erano scambiato negli ultimi anni per 275 maledetti milioni. Paolo Brogi A PADOVA L' amico: più volte mi chiese di trovargli un killer DAL NOSTRO INVIATO PADOVA - «E pensare che, più volte, mi aveva chiesto di trovargli un killer per far fuori "quella bestia" di Roma... Io a dirgli: lascia perdere, goditi i tuoi soldi, smettila di roderti dentro. Un tormentone. E oggi scopro che l' ingegner Fratazzi ha deciso di far tutto da solo. Ha sparato travestito da donna? Chissà che scena, avrei proprio voluto vederlo». Si parla di un uomo che ha appena fatto fuori lo psichiatra, la moglie, e se stesso, eppure il vicino della porta accanto, racconta i particolari della storia come se fosse un film. Nella cui trama, naturalmente, c' è una particina anche per lui. Chiamiamolo il confidente: Giovanni S., originario di Potenza, funzionario statale a Padova, domiciliato in via Matteotti, stesso condominio dell' amico. Anche il «Margherita» del centro storico, dove lo incontriamo, è lo stesso bar frequentato assiduamente da Cesare Fratazzi. «Com' era? Normalissimo, all' apparenza - rivela il funzionario -. Un tipo benestante, garbato, generoso. Tutto ok, fatta eccezione per la voglia matta di restare giovane, vitale..., insomma, senza giri di parole, un uomo con vivaci pulsioni sessuali. Purtroppo, non realizzate. E qui sta l' origine della tragedia». Giovanni S., seraficamente seduto al tavolino, continua: «Il fatto è che l' ingegner Fratazzi - forse non era laureato, ma al bar lo chiamavamo così per il suo passato da costruttore - quel problemino ce l' aveva ormai da molti anni. Qualcosa, nella sua vita, dev' essere andato storto. Lui, infatti, soleva ricordare le pirotecniche avventure galanti, dando l' impressione di essere stato un play boy. E mai s' era acquetato, nonostante due matrimoni. Nonostante la seconda donna, Livia Paulotto, fosse più giovane di vent' anni». «Ecco - spiega - il motivo del tormento, e del suo ricorrere agli specialisti, elemosinando l' elisir di giovinezza. Da quanto ho potuto capire, il dottore di Roma lo aveva in cura da molto tempo, senza guarirlo. Peggio: il paziente era andato sempre più giù». Pausa. Giovanni S. prende fiato, e riattacca: «Vorrei precisare che Fratazzi, forse per vergogna, cercava di farmi credere che il rancore verso lo psichiatra non riguardava se stesso ma la sorella. Poi, mi diceva: "Tu che sei meridionale, aiutami a trovare un killer. Sai, i soldi non mi mancano, posso pagarlo bene. Quel sedicente professore è la rovina di mia sorella, devo assolutamente eliminarlo". Tentavo di calmarlo, ma lui, ogni volta che lo incontravo al bar, tornava sull' argomento. Si alterava, se la prendeva con quel "furfante che mi ha portato via centinaia di milioni, senza concludere nulla", eccetera eccetera. Ed io cominciavo a sospettare che nell' incredibile vicenda fosse coinvolto l' ingegner Fratazzi in persona. Anche se la certezza assoluta ce l' ho solo adesso». «A ripensarci, certi comportamenti e certi discorsi erano davvero strani. Con lui si parlava di tutto. Ma il suo argomento preferito erano le donne e il sesso. Aveva voluto a tutti costi che gli vendessi un mio giubbotto di pelle nera, perché "faceva giovane". Ascolti anche questa: c' era un suo coetaneo, in gran forma nonostante l' età, che al bar sbandierava i movimentati viaggi in Brasile: donne a go-go. Frattazzi lo ascoltava, diventando livido in volto, il ritratto dell' invidia». «Qui stava il suo male oscuro. Pazzo? Mah. L' omicidio? Premeditato. Il suicidio? Forse anche quello. Fratazzi, infatti, senza spiegarmi il perché, poco tempo fa mi aveva confidato di aver sistemato i conti in banca e le divisioni patrimoniali». «È strano, lo ammetto - chiude Giovanni S. - ma di fronte alla tragedia, mi passa per la mente un solo pensiero: è una storia che andrebbe a pennello in un thriller di Dario Argento». Marisa Fumagalli LA SCHEDA LA VITTIMA Emilio Dido aveva 91 anni, era cieco da quando ne aveva due. Si autodefiniva psicopatologo, una qualifica acquisita negli Stati Uniti d' America dove è riconosciuta e che consiste in un' assistenza psicologica. Non era iscritto all' ordine dei medici in Italia. A Roma, però, l' anziano era conosciuto come medico, biologo e psichiatra LE CURE Dido curava con metodi assolutamente personali. Diceva che la sua terapia contro le «malattie autoimmuni» si basava anche sul magnetismo. E con l' applicazione di frequenze elettriche e magnetiche curava anche le malattie mentali. Il medico somministrava anche gocce, ritenute da alcuni pazienti miracolose, da altri solo dell' acqua
Brogi Paolo, Fumagalli Marisa
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(20 luglio 2000) - Corriere della Sera